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PREFAZIONE
avuto e continua ad avere presso tutti i musicisti che si sono alternati nelle varie epoche, negli Stati Uniti così come in Europa. Parenti stretti del Blues sono il Jazz ed il Rock’n’Roll, le cui evoluzioni sono arrivate fino ai nostri giorni con forme esteticamente molto distanti dalle canoniche dodici battute ma delle quali, il più delle volte, ne riportano lo spirito: basti pensare alle nuove correnti dell’Hip Hop che esprimono il malessere del ghetto alla stregua dell’emarginazione che era stata propria dei campi di cotone. Si è molto discusso tra gli studiosi sull’etimologia del termine Blues e sulle sue potenziali applicazioni anche in altri contesti. Una canzone che parla di violente pulsioni amorose piuttosto che narrare di fatti attinenti alla quotidianità, esprimendo al contempo il turbinio di emozioni generate da questi eventi, è da ritenersi un blues. E’ anche vero che il blues nasce da una realtà non certo borghese, un mondo nel quale una voce accompagnata dalla chitarra e dall’armonica è l’unico sfogo possibile per raccontare agli altri il proprio disagio. Si, perché il blues è in generale espressione di malessere, anche se si allarga sovente verso manifestazioni di sfrenata allegria, con l’ironia e l'uso di toni goliardici (il più delle volte a sfondo erotico) volti ad esorcizzare i demoni del male.
UN VIAGGIO SENZA RITORNO
La legalizzazione dell’esercizio della schiavitù ha una data precisa, quel 1517 in cui gli spagnoli, incoraggiati dal vescovo Bartolomeo de Las Casas a colonizzare il Nuovo Mondo, cominciarono la triste pratica del commercio di uomini.
In America i neri non avevano alcun diritto, le condizioni di vita erano davvero disumane e non c’era villaggio nel profondo Sud in cui non si tenessero vendite di uomini all’asta nelle quali il prezzo era legato, così come per il bestiame, alle capacità di resistenza alla fatica di ciascun individuo. B.B. King racconta nel libro autobiografico "Il Blues intorno a me" delle lunghe giornate trascorse a dissodare il terreno seguendo il mulo che, con metronomica cadenza, gli scorreggiava sulla faccia.
Il 9 aprile del 1865 la guerra ebbe fine con la fuga da Richmond del generale Lee e con la conquista della Georgia da parte delle forze dell’Unione. Lo schiavismo era ufficialmente bandito anche se già nel 1863 Lincoln aveva promulgato la "Emancipation Proclamation" con la quale si rendeva illegale questo genere di attività. Il principio fu in seguito sancito nel 13° emendamento della Costituzione americana. Di fatto, il calvario della gente nera sarebbe stato ancora ben lontano dal suo epilogo.
I CANTI DI LAVORO E LA NASCITA DEL BLUES
LA SINTASSI DELLE DODICI BATTUTE
Ai primi osservatori del fenomeno blues sembrò che le strutture musicali fossero in tonalità minore poiché gli accordi del I e del IV grado prendevano una settima minore diventando così pseudodominanti; in realtà fu soltanto intorno al 1926 che, grazie ad artisti come Duke Ellington, si ebbe un significativo utilizzo dei blues in minore. Il Blues "rurale", nonostante tutto, variava abbastanza e non si può dire che avesse uno schema rigido; i musicisti seguivano spesso un proprio feeling non badando eccessivamente alla regolarità metrica (John Lee Hooker ne è l’esempio più autorevole), così le dodici battute diventavano otto o sedici secondo una logica, spesso eccentrica, in cui il testo assumeva rilevanza prioritaria rispetto alla musica stessa. Nel caso dei "talkin’ blues" il testo era parlato (sorta di rap ante litteram) e la base musicale assolutamente estemporanea. In generale ogni frase cantata occupava due misure ed era seguita da due misure di risposta strumentale. E’ interessante notare come certi bluesmen cambiassero parzialmente le parole originali di una canzone per adattarle alle parafrasi melodico-ritmiche che improvvisavano sul momento. Il racconto del Blues ha sue precise caratteristiche. A differenza della ballata non è ciclico e narrativo ed in questo senso si può definire più moderno. Si svolge in prima persona e, sia che venga diretto ad un singolo evento o ad una serie di episodi e situazioni apparentemente slegate, suggerisce comunque un unico stato d’animo. Il verso ha la franchezza colloquiale del linguaggio di tutti i giorni, quello della strada, e riesce a conferire dignità poetica a quel complesso di immagini simboliche che ne rappresentano l’aspetto creativo. Fondamentale è il ricorso al doppio senso, il cosiddetto "double talk", adattato il più delle volte ad argomenti di natura erotica. I riferimenti sono tratti dalla vita quotidiana: animali, piante, strumenti di lavoro e di trasporto (il treno, in particolare, ha un significato ben preciso) sono incaricati di sostituirsi, in molti casi, ad attributi intimi. Robert Johnson cantava in Phonograph Blues: "… e lo suonammo sul divano, e lo suonammo contro il muro, ma la mia puntina si è arrugginita e non vuol suonare affatto…"; Big Bill Broonzy: "… hai una bella macchina, tesoro, ma troppi autisti al tuo volante…"; ed ancora: "… ho i movimenti di un motore Ford nei miei fianchi, garantiti per diecimila miglia…". E se il racconto aveva, come detto, la profonda dialettica del ghetto, gli stili musicali si sono formati legandosi alla cultura bianca ed ai suoi strumenti, assumendo caratteristiche proprie delle zone d’origine. Dal Delta del Mississippi alla fredda Chicago si sono mossi un’infinità di personaggi che hanno modellato, attorno ad una musica semplice ed istintiva, le tante forme che oggi si possono osservare.
REGIONI, STILI, LEGGENDE
Come per altri artisti della prima ora, di Patton si sa ben poco (nel suo caso come in quello di Robert Johnson, è grazie ad una solo fotografia che se ne conosce il volto); non esistevano infatti documenti ufficiali per i lavoratori neri e gran parte della storia di quel periodo è stata scritta grazie ai racconti di chi ha conosciuto in prima persona i musicisti diventati in seguito oggetto di ricerca da parte degli etnomusicologi. Quasi sempre dalle narrazioni sono emersi profili di personalità particolarmente eccentriche, dedite al bere ed a qualunque forma di "vizio", abituali frequentatori di penitenziari e donnaioli impenitenti. Son House, Skip James, Bukka White, Mississippi John Hurt, ed il celebre Robert Johnson, furono i pionieri che registrarono le proprie canzoni, destinate all’epoca (erano i primi decenni del secolo) al circuito dei "race records", i dischi rivolti esclusivamente alla comunità di colore.
Il musicista del Mississippi nacque presumibilmente l’8 maggio del 1911, undicesimo figlio di Julia Major Dodds. Poiché figlio illegittimo, la sua vita (come pure la morte avvenuta in circostanze poco chiare) è stata sempre avvolta da una coltre di nebbia tanto fitta da creare confusione persino sull’autenticità del nome. La leggenda racconta che il giovane Johnson, aspirante musicista, avesse fatto un patto con il Diavolo il quale gli aveva donato una straordinaria capacità artistica in cambio della sua anima. Egli stesso raccontò di aver conosciuto un tale di nome Ike Zimmerman del quale si diceva che avesse scoperto il mistero del Blues suonando di notte nei cimiteri. L’incontro era avvento all’incrocio fra due strade, il famoso "crossroads", che costituirà lo spunto per tutta una serie di films che renderanno quasi hollywoodiana la figura di Robert Johnson. Delle indubbie capacità vocali e dello stile chitarristico sublime è rimasta traccia in ventotto brani registrati nel 1936 nel corso di tre sessioni consecutive che, se non hanno arricchito il suo autore, hanno indubbiamente spianato la strada a quei musicisti bianchi (E. Clapton ed i Rolling Stones su tutti) che ne hanno riproposto le covers in anni certamente più propizi per la diffusione discografica. Johnson morì avvelenato dal marito di una delle sue tante amanti in una triste notte dell’estate del 1938, all’età di soli ventisette anni. Se il Mississippi è stato il luogo d’origine del Blues down home, altre regioni del Nord America sono state interessate dal movimento musicale, cosa che ha consentito lo sviluppo di caratteristiche proprie in ognuna di esse. La costa orientale ha prodotto musicisti spesso brillanti, situati tra il jazz, il ragtime ed il blues. Blind Blake, Blind Willies McTell, il famosissimo reverendo Gary Davis, Blind Boy Fuller, l’armonicista Sonny Terry, sono solo alcuni dei giganti di quell’area geografica. Il Texas blues è stato particolarmente originale grazie ad artisti come Blind Lemon Jefferson (il più celebre e rappresentativo), Leadbelly, Texas Alexander, Lightinin’ Hopkins e T-Bone Walker tra gli altri. Il suono di questa regione era caratterizzato da una forte influenza latinoamericana, con uno stile chitarristico molto vicino al flamenco e con dei testi meno cupi e più brillanti di quelli del Delta.
Nella multietnica New Orleans, colonia prima spagnola e poi francese fino al 1803, il Blues era soltanto uno dei generi musicali che si potevano ascoltare. Terra d’origine del Jazz, che i primi pianisti suonavano nelle "barrelhouse" (i bordelli del quartiere Storyville) e grazie alla moltitudine di culture che proprio qui erano venute a contatto, la "Crescent City" produsse infinite combinazioni di suoni che si adattavano tanto alle feste come il carnevale creolo o "Mardi Grass" quanto ai funerali, con gli immancabili ottoni ed i caratteristici suoni dixieland. Pianisti come Professor Longhair e Champion Jack Dupree, compositori come Allein Tussaint e Doc Pomus, cantanti come Fats Domino e Little Richard negli anni successivi, hanno fatto la storia di questa città davvero unica.
SWEET HOME CHICAGO Il flusso migratorio dei lavoratori neri in cerca di occupazione (e di miglior fortuna) ebbe, nella maggior parte dei casi, una comune meta: Chicago. La capitale dell’Illinois era sede di numerosi agglomerati industriali e di conseguenza la richiesta di manodopera per ferrovie, acciaierie, e per i famigerati "stockyards" (i macelli della zona sudoccidentale della città), alimentò le aspettative dei tanti disperati che, con mezzi di fortuna, pochi quattrini e tanti sogni, si misero in viaggio dagli Stati meridionali.
Il Jazz, prima ancora del Blues, alimentò la vita dei locali notturni (sviluppatisi nel frattempo anche nella "West Side" della città) grazie ad artisti come Tommy Ladnier, Freddie Keppard, King Oliver, la cantante Bessie Smith ed un tale trombettista di nome Louis Armstrong. Un Blues più schietto e verace prese piede invece nelle taverne e nei "rent parties" della South Side grazie a musicisti come Tampa Red, John Lee "Sonny Boy" Williamson (da non confondere con Rice Miller o Sonny Boy Willamson II) e Big Bill Broonzy che, alla fine della seconda guerra mondiale, diedero vita al cosiddetto "Bluebird Beat", dal nome dell’etichetta discografica RCA-Bluebird del produttore Lester Melrose. Big Bill Broonzy (Scott, Mississippi, 1893 – Chicago, Illinois, 1958) si trasferì a Chicago negli anni venti costruendosi la fama di virtuoso della chitarra. Lasciò però ben presto l’originale suono del Delta, del quale aveva esportato tutta la magia, in favore di una musica che, arricchita ed ingentilita dagli ottoni, avrebbe svoltato verso atmosfere dal sapore "jazzy" rompendo progressivamente i legami con la tradizione rurale.
Ma la vera rivoluzione nel
Blues avvenne quando arrivò a Chicago un bracciante agricolo nato a
Rolling Fork,
Mississippi, nel 1915 il cui vero nome era McKinley Morganfield ma che il
mondo avrebbe conosciuto come Muddy Waters
(letteralmente: acque fangose).
E se Muddy Waters rimane ancor oggi l’idolo incontrastato del Chicago Blues, artisti come Elmore James, Howlin’ Wolf ed il contrabbassista e produttore Willie Dixon (anch’egli elemento stabile nel combo di Waters), contribuirono considerevolmente alla consacrazione di quel genere che avrebbe dato direttamente vita al Rock’n’Roll come profeticamente recitava il titolo di una canzone dello stesso Muddy Waters: "I Blues hanno avuto un figlio e l’anno chiamato Rock’n’Roll".
IL BLUES NEL TERZO MILLENNIO
Bisognerà attendere gli anni ottanta per assistere alla "Blues Explosion" scatenata dal film di John Landis, The Blues Brothers. Un successo dalle proporzioni enormi che, grazie alla simpatia ed al mecenatismo degli attori-musicisti John Belushi e Dan Aykroyd, ha riaperto le porte delle case discografiche ad artisti che non riuscivano più ad andare oltre il cosiddetto sottobosco dei clubs americani. Tra questi, tanti eroi della musica nera come Cab Calloway, Aretha Franklin, Ray Charles, Matt "Guitar" Murphy, Steve Cropper e James Brown, solo per citare i più famosi. Da quel momento è stato un fiorire di etichette specializzate nella musica Blues tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. La Alligator e la Dellmark a Chicago, la Black Top e la Rounder a New Orleans, la CrossCut in Germania e la milanese Appaloosa in Italia. Molti giovani artisti si affacciano oggi sulla scena internazionale cimentandosi con una musica che, da tempi ormai remoti, ha trasmesso il suo linguaggio agli uomini di tutte le razze. Robert Cray, Joe Louis Walker, Keb' Mo', esponenti di spicco tra le ultime leve dei musicisti di colore, propongono una evoluzione del linguaggio originario verso sonorità fortemente contaminate da accenti pop che, nonostante siano state fino ad oggi mal digerite dagli appassionati più integralisti, hanno consentito al Blues di scalare i vertici delle classifiche.
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